I trentacinque anni di una coppia di aquile reali nell’Appennino centrale
Era il lontano 1984 quando, con scarponi, zaino, binocolo e cannocchiale…, nell’Appennino centrale fu scoperta la quinta coppia di Aquila reale nidificante nel Lazio. Da allora le aquile si sono alternate in sette dei dodici nidi conosciuti e ubicati nei diversi sistemi rupestri di un’ampia vallata appenninica che termina, in testata, con un avvincente anfiteatro calcareo dal quale prende vita un torrente dalle acque cristalline.
Nel periodo 1984-1988 le aquile nidificarono presso le coste del Farinello involando due giovani e riportando una modesta produttività di 0,40 (2/5). Il sito era abbastanza tranquillo, nascosto in una valletta laterale dell’anfiteatro calcareo poco sopra la linea della faggeta, con un grande nido esposto a sud all’interno di un’ampia cavità a una quota di 1.250 m.
Nel 1989 irruppe nella storia una giovane nuova femmina di età intorno al 4° anno che, nonostante l’evidente immaturità del piumaggio, dette inizio a una serie positiva di nidificazioni che sarebbero durate fino al 2003 presso un altro sistema rupestre, le coste di Malito, posto a 2,5 km di fronte al precedente con presenti quattro nidi esposti a nord alle quote di 1400-1450 m. Due di questi quattro nidi sono ‘gemelli’ ovvero situati a pochi metri l’uno dall’altro. Qui l’osservazione a distanza (circa 1 km) delle varie nidificazioni fu particolarmente avvincente grazie alla posizione panoramica del punto di osservazione che consentiva di osservare a lungo le aquile in arrivo e partenza verso e dal nido, a volte trasportando grosse lepri oppure lanciate da un pinnacolo roccioso in un veloce volo scivolato magari puntando alle spalle di un gheppio che, incurante del pericolo, faceva lo spirito santo, a un paio di chilometri di distanza, sulla verticale di una radura nella faggeta circostante. In questi quindici anni le aquile involarono nove giovani aquilotti conseguendo così un’alta produttività di 0,60 (9/15).
L’equilibrio del periodo si ruppe di nuovo nel 2004 con l’irruzione di una seconda nuova giovane aquila, questa volta un maschio del 3°-4° anno. Le cose però andarono diversamente rispetto a quindici anni prima poiché la coppia non nidificò più fino al 2007, pur osservata in attività presso le coste di Malito, probabilmente a causa della giovane età del maschio di coppia. Nei due anni successivi, 2008 e 2009, le aquile si eclissarono all’osservazione e poi furono scoperti quattro nuovi nidi ubicati in tre diversi siti rupestri (serra del Macchione, dente di Malito nord e morra Caprera) dove, in un paio di essi, è possibile che le aquile vi abbiano nidificato nei due anni di buio. Questi nidi presentano diverse esposizioni (nord-est, sud-ovest e ovest) con quote comprese nel range altimetrico 1300-1400 m. Finalmente il filo delle osservazioni con successo riprese nel 2010 quando la coppia, con il maschio ormai adulto, si riprodusse con successo in uno dei tre nuovi siti e questo nuovo trend riproduttivo andò avanti fino al 2014, anno dell’ultima riproduzione con successo, con l’involo di tre giovani in cinque anni e ancora produttività elevata di 0,60 (3/5). Inizia così l’ultimo periodo di cinque anni (2015-2019) che ci porta ai nostri giorni. In questi anni si sono avute tre non deposizioni, l’ultima probabile quest’anno, e due fallimenti. E’ molto probabile che in almeno due stagioni riproduttive il disturbo dovuto al volo ravvicinato ai siti da parte di elicotteri sia stata la causa dell’insuccesso riproduttivo. In generale non è eccezionale per l’Appenino la mancanza d’involi per lunghi periodi, in alcuni casi durati anche nove anni, con cause non sempre conosciute e a volte anche semplicemente naturali.
Oggi la nostra valorosa femmina di coppia potrebbe avere trentaquattro anni, non essendosi mai registrate sostituzioni evidenti dal 1989 a oggi. Nell’Appennino centrale la mortalità degli adulti si aggira intorno al 3% e a questo valore corrisponde una loro aspettativa di vita di trentacinque anni. In conclusione la nostra femmina, ammesso che sia sempre quella del 1989, potrebbe aver iniziato un suo declino naturale e questo, in aggiunta al problema del disturbo antropico, potrebbe pesare come fattore limitante temporaneo.
Il racconto-diario termina qui ricordando che la conservazione si avvale della conoscenza e più quest’ultima è profonda e più evidenti sono le azioni da porre in essere.
Il monitoraggio di questo stupendo rapace è attività che richiede una grande passione, indispensabile per stare sul campo in osservazione per molte ore, spesso con forti disagi, avendo come strumenti, oltre a binocolo e cannocchiale, molta pazienza, tenacia e una sufficiente preparazione di base sulla biologia di questa specie.
Termino ricordando tutti coloro che hanno contribuito, nei trentacinque anni, al monitoraggio di questa coppia di aquile reali: Stefano Allavena, Valentina Capraro, Michael Ceruti, Marina Cianconi, Emiliano De Santis, Ilaria Guj, Anna Rita Lanciotti, Gianni Lauretti, Marco Panella, Andrea Raponi, Leonardo Songini e Alberto Zocchi.
Sono passati tanti anni e le aquile volano ancora alte sulla valle appenninica, regalandoci la loro bellezza…
P.S.: i nomi dei toponimi rupestri sono di fantasia.