Gli impianti industriali eolici in Italia
BOLOGNA, 30/4/2010 – HOTEL EUROPA
INCONTRO CON L’ON. ANGELO ALESSANDRI
Gli impianti industriali eolici in Italia
E’ significativo che in tanti anni ci sia stata, sulla stampa nazionale ed in televisione, scarsissima attenzione alla questione della proliferazione di impianti industriali così impattanti. Difficile che si tratti solo di un caso. Generalmente ci si rende conto dell’entità del problema solo quando si vedono da vicino, per la prima volta, le torri eoliche. Ma è troppo tardi!
Il problema è europeo, ma si aggrava (come spesso accade) nel nostro Paese, perché il sistema di sovvenzione deciso dai nostri Governi è enormemente superiore rispetto a quello deciso dagli altri Paesi.
L’origine del fenomeno sono i “certificati verdi (CV)”. Il loro utilizzo è stato deciso con il c.d. decreto Bersani che ha recepito la direttiva europea sulla liberalizzazione del mercato dell’energia. L’intento politico dell’Unione europea era quello di ridurre l’emissione di CO2 e la dipendenza energetica dell’Europa. Questo decreto ha dunque introdotto l’incentivazione dell’elettricità prodotta da fonti rinnovabili basata sull’obbligo (a decorrere dal 2002) posto a carico dei produttori e degli importatori di energia elettrica da fonti non rinnovabili, di immettere nel sistema elettrico nazionale una quota percentuale di elettricità (inizialmente il 2% e, in prospettiva, il 7,55% entro il 2012) prodotta da impianti a fonti rinnovabili. I soggetti all’obbligo possono adempiervi o immettendo essi stessi in rete elettricità prodotta da fonti rinnovabili oppure acquistando da altri produttori appositi titoli (appunto i CV) comprovanti la produzione dell’equivalente quota. Quindi il CV non sarebbe altro che un titolo che ha un valore stabilito dal mercato, in base alla legge della domanda e dell’offerta, formato da chi chiede CV e da chi produce energia da fonti rinnovabili. In teoria. Perché c’è un compratore di ultima istanza che è in grado di distorcere il mercato: il GSE, cioè, in sostanza, il Governo italiano, che attua questa distorsione garantendo per 15 anni gli incentivi ed impegnandosi ad acquistare energia eolica, attualmente al prezzo di 180 euro al MWh (cioè circa il doppio, ad esempio, della Germania dove tali incentivi sono comunque contestati). In questo modo diventa un affare senza rischi utilizzare una tecnologia elementare e inefficiente come quella degli aerogeneratori.
E’ importante notare che assolutamente nessuno obbliga alla scelta dell’eolico come energia rinnovabile, soprattutto perché, a differenza di Danimarca, Olanda, Spagna e Germania settentrionale, l’Italia non è un paese sufficientemente ventoso. L’affermazione: “l’Italia è un paese inadatto all’eolico industriale, perché le sole zone con vento sufficiente sono i crinali montani” dovrebbe avere come conseguenza logicamente necessaria “e quindi cerchiamo altre fonti di energia alternativa e non inquinante” e non “e quindi costruiamo megapale eoliche sui crinali”.
Oggi conosciamo i dati ufficiali della potenza eolica installata a fine 2008 in Italia: 3.538 MW, mentre l’elettricità effettivamente prodotta è stata solo 4.861 GWh. Per avere valori comparativi, abbiamo scelto, a caso, una centrale a combustibile fossile: quella di Torrevaldaliga Nord nei pressi di Civitavecchia, in funzione da 25 anni. La potenza nominale dell’impianto è di 2.640 MW e la produzione netta annua è pari a circa 10.000 GWh. Questo significa che avere devastato il Sud e le Isole con oltre 3.600 torri eoliche ha prodotto un risultato inferiore a metà della produzione di una singola centrale tradizionale. Nel 2008 la produzione di energia eolica ha soddisfatto appena l’1,4% dei consumi finali elettrici. In termini di consumi complessivi di energia, l’eolico non influisce neppure per lo 0,5%. Ma già nel 2009 la situazione è drammaticamente peggiorata: è stato installato un 30% in più di potenza. In concreto, oltre mille torri eoliche in più in un solo anno. Attendiamo i dati ufficiali per l’estate. Ma recentemente la stampa ha riportato, da una fonte del ministero dello Sviluppo economico, che “oggi ci sono domande per allacciare alla rete elettrica 75mila MW di impianti eolici”. Un esempio per chiarire la catastrofe in divenire: se venissero installati generatori dello stesso tipo di quelli proposti a monte dei Cucchi, in provincia di Bologna, si tratterebbe di una valanga di 80.000 pale.
Una catastrofe ambientale senza precedenti nella storia: tutti i crinali e le coste italiane non basterebbero a contenerle. Ci viene in mente Rubbia, che non è l’ultimo arrivato, quando ha detto che se riempissimo l’Italia di pale eoliche non arriveremmo a coprire il 2% del fabbisogno energetico nazionale. Ma la corsa all’accaparramento del territorio non è ancora conclusa e l’onnipotente lobby dell’eolico vorrebbe addirittura che le “Linee guida nazionali”, anziché un freno a questo scempio senza nome, diventassero il grimaldello per scassinare i già debolissimi sbarramenti amministrativi.
E tutto questo perché gli attuali incentivi rendono vantaggiosa la scelta di localizzazioni che in condizioni normali sarebbero trascurate: vengono così devastate in modo irreversibile colline e montagne con impianti, che un domani verrebbero poi abbandonati se si riducessero i sussidi (come sarà inevitabile che accada e forse, presto).
Allo stato attuale, risultano ampiamente redditizi anche i siti con appena 900 ore di vento all’anno e perciò i crinali di tutte le montagne italiane sono a rischio. Ma in questo modo si deturpano, in modo irreparabile, molte delle aree più delicate e più belle del nostro Paese, che tutti il mondo ci invidia. Il Patrimonio di bellezze naturali e storiche creato e preservato per millenni, andrebbe valorizzato e reso produttivo (nel senso di incentivare ulteriormente il settore turistico per dare lavoro), non distrutto irrimediabilmente! Soprattutto nel momento in cui il nostro Paese sta sempre più perdendo terreno (e posti di lavoro, appunto!) nel settore industriale.
Inoltre, se si considerano le opere gigantesche che occorrono per portare sulla cima delle montagne le pale, è richiesto un consumo di superficie di gran lunga maggiore rispetto alle altre fonti rinnovabili. Questo in un paese come l’Italia, dove lo spazio è di per sé un bene prezioso. Senza considerare, come appena detto, la qualità di tali superfici.
Ma il problema fondamentale ed insormontabile della tecnologia dell’eolico, è che il vento non soffia secondo la volontà degli uomini. Il vento fornisce per sua stessa natura un tipo di energia oscillante/discontinuo e questa energia non può essere accumulata, ma va immediatamente riversata nella rete elettrica. Per motivi tecnici, però, la rete non è in grado di sopportare sbalzi in aumento o in diminuzione oltre un certo livello, pena il collasso del sistema. Si dovrebbe perciò arrivare al risultato paradossale di dovere costruire, parallelamente all’installazione delle torri eoliche eccedenti un certo numero, nuove centrali elettriche, tradizionali o nucleari, equivalenti alla potenza di picco dell’eolico installato e tenerle sempre in funzione come back up, pronte a subentrare in caso di improvvisa diminuzione del vento. Per questo l’energia del vento non è “alternativa”, né agli impianti a combustibili fossili, né a quelli nucleari, ma solo “aggiuntiva”. Significativo è il fatto che, proprio quest’anno, sia ripartito il programma nucleare italiano: prova provata che le migliaia di pale che hanno sfregiato il paesaggio e l’ambiente del sud Italia e delle isole è stato vano. L’energia eolica, anziché essere quella più a buon mercato, diventerebbe, come insegnava il compianto Mario Silvestri e senza neppure tenere conto del costo indiretto degli incentivi, la più costosa. Inoltre l’aumento dei consumi italiani di energia di appena un trimestre, dovuti banalmente ad un aumento inerziale per inefficienze sistemiche ed a puro spreco, bastano a vanificare tutti i sacrifici imposti al Sud Italia. Ammesso che siano pienamente fondati gli allarmi che sono stati lanciati sul cosiddetto “riscaldamento globale del pianeta” dai paladini del protocollo di Kyoto, restano del tutto da provare anche le riduzioni, come saldo finale, di CO2 in atmosfera, considerati i lavori necessari per la realizzazione degli impianti eolici, la distruzione di interi boschi e, soprattutto, la produzione di masse enormi di acciaio per costruire le torri. Gli incentivi, che non sono in grado di aumentare il vento in Italia, sottraggono invece preziose risorse alla ricerca: occorrerebbe al contrario un colossale sforzo a livello europeo per individuare nuove fonti energetiche alternative a quelle fossili realmente percorribili e che non abbiano solo una funzione simbolica o di ingannevole marketing politico come questa dei giganteschi totem sui crinali.
Situazione in Emilia Romagna
In Emilia Romagna, al 31/12/2008, l’unico impianto eolico installato era quello di Monte Galletto a San Benedetto val di Sambro, in provincia di Bologna. Ma la Provincia di Bologna (intesa come istituzione, capitanata dal suo assessore all’ambiente Burgin) sta dimostrando, con la sua politica, di avere tutta l’intenzione di riempire di pale eoliche ogni crinale e di battere ogni record negativo. Infatti, con Casoni di Romagna l’amministrazione provinciale si vanta di avere costruito l’impianto eolico più grande del nord-Italia. Non contenta, con il progettato impianto di Monte dei Cucchi, ancora nel comune di San Benedetto val di Sambro (è una costante: quando un comune è squalificato, gli si aggiunge ogni nefandezza), di nuovo si batterebbe il record. Ma non basta, nella scorsa estate è stata siglata la convenzione per un ulteriore impianto nel comune di Monghidoro, in località Tre Poggioli, con una potenza installata prevista quasi doppia di quella del Monte dei Cucchi. Altra recentissima notizia: una nuova convenzione è stata firmata nel Comune di Monterenzio che farà così arrivare le pale ininterrottamente da Casoni fino alla Raticosa (oltre 15 chilometri).
Si sa che anche i comuni di Castel del Rio, Castiglione dei Pepoli, Camugnano e Grizzana Morandi hanno firmato (o stanno per firmare) accordi di questo tipo.
Troppi impianti concentrati in una sola Provincia perché sia una coincidenza: c’è qualcuno che sta giocando pesante sulla pelle degli ignari abitanti!
Per dare l’idea di che cosa si stia parlando, portiamo a titolo di esempio l’impianto del Monte dei Cucchi che conosciamo bene. Le torri previste sono 24, alte, comprese le pale, 105 metri e pesanti, complessivamente, oltre 350 tonnellate ciascuna. Che andrebbero conficcate in plinti di calcestruzzo profondissimi che nessuno potrà mai rimuovere e che impediranno per sempre il riformarsi del bosco. Dovrebbero essere poste a oltre mille metri di quota, in un’area boschiva, lungo uno dei più frequentati percorsi escursionistici della Regione, “il sentiero degli dei” da Bologna a Firenze, insistendo per alcuni chilometri sulla direttrice di una antica strada romana, in prossimità di abitazioni, a breve distanza dai centri abitati ed addirittura proprio sopra la linea di faglia da cui si è staccata la frana che nel 1951 ha semidistrutto Castel dell’Alpi e creato l’attuale lago. Ogni pala garantirebbe, alla società che le installa, profitti nell’ordine di 100.000 euro all’anno. Questo, moltiplicato per 24 pale e poi per 15 anni di incentivi garantiti dallo Stato, porta facilmente a calcolare il business complessivo. Per contro, l’energia prodotta da una pala, considerato che l’attiguo impianto di Monte Galletto ha funzionato, nel 2008, per 917 ore annue e facendo la proporzione tra le diverse potenze installate, equivarrebbe al consumo di energia elettrica pro capite 2008 di circa 150 cittadini emiliani. Appena.
Passando alla altre provincie, abbiamo notizia che sono stati presentati i primi progetti di impianti, di dimensione più ridotta, anche a Modena, Piacenza, Parma e Forlì-Cesena. Recentemente si è appreso dalla stampa che la Provincia di Parma ha realizzato uno studio, anticipatore del piano energetico provinciale, che prevede l’installazione, nel parmense, di 120 MW eolici, corrispondenti a sei impianti della dimensione di quello proposto a monte dei Cucchi. L’elenco dei comuni interessati suscita raccapriccio tra gli amanti del paesaggio appenninico e della natura: Abareto, Borgotaro, Berceto, Corniglio, Calestano, Tizzano, Palanzano, Bedonia e Tornolo.
Dalle informazioni che giungono da tutti questi territori e dato il numero di persone che avvicinano i proprietari dei terreni offrendo affitti principeschi per piantare le pale, ci dobbiamo aspettare che, nel giro di pochi mesi, così come è avvenuto e sta continuando purtroppo ad avvenire nel Sud (dove la situazione è andata subito fuori controllo), compariranno anche in Emilia Romagna, all’improvviso, diverse centinaia di queste colossali pale. A quel punto non ci sarà, ahinoi, moratoria che tenga.
Bisogna fare qualcosa – subito!
A livello locale quello che proponiamo è di nominare in tutte le Provincie della Regione una Consulta a tutela dell’ambiente, del paesaggio e del territorio come è già stato fatto a Modena, dove ci si è validamente opposti al tentativo di costruire quattro pale sul monte Cervarola sopra Montecreto.
Sarebbe poi necessario che le associazioni ambientaliste abbandonassero le posizioni ideologiche (che fanno il solo gioco degli affaristi e dei nemici dell’ambiente), risolvessero le ambiguità e si coordinassero, finalmente, per monitorare il territorio evitando che questi progetti venissero presentati di sorpresa, (le notizie rimangono affisse all’albo pretorio dei comuni – che nessuno legge – per due settimane), senza nessuna opposizione. Una cosa semplice è andare ora, subito, nei propri comuni e chiedere esplicitamente alle amministrazioni di conoscere quali convenzioni siano state stipulate, visto che il giochino parte sempre con la firma di una convenzione generica. Il coordinamento delle opposizioni ai singoli progetti (qualora siano fondate), dovrebbe poi spettare al Presidente della Consulta che coordinerebbe gli sforzi, come è accaduto a Modena.
Ma lo sforzo maggiore che le associazioni dovrebbero esercitare, più ancora che sulle moratorie (come consiglia il TAM nazionale del CAI per considerazioni analoghe alle nostre) da parte di singoli Comuni e Regioni, generalmente bocciate dai TAR, è sul Governo nazionale che non emana (siamo ancora a livello di bozze) le “Linee guida nazionali” di orientamento per questa normativa, già previste dal decreto 387/2003, a garanzia di ambiente e territorio e non a garanzia dei profitti di chi, su ambiente e territorio, specula. E ancora più urgente pare essere la necessità di affidare ad una autorità governativa la programmazione della costruzione di impianti di energia non programmabile, come l’eolico, evitando di confidare su estemporaneità e spregiudicatezza. La soluzione definitiva del problema verrebbe poi dall’allineamento degli incentivi all’eolico ai livelli degli altri paesi europei. Nel novembre scorso è stato presentato, su iniziativa del Ministro Calderoli, un emendamento in finanziaria (poi ritirato per la reazione della evidentemente potente lobby dell’eolico) per affidare la suddetta programmazione a Terna e per fissare il prezzo massimo garantito dallo Stato dell’energia eolica a 120 euro. Questo prezzo sarebbe più alto di quello applicato nella stragrande maggioranza degli altri Paesi, ma comunque sufficiente per salvare centinaia di montagne italiane da un brutale e, prossima, aggressione.
Infine, suggeriamo la consultazione del sito web www.viadalvento.org nel quale vi sono numerose pagine dedicate all’eolico nei diversi aspetti (anche quelli che oggi non abbiamo trattato a sufficienza) quali la tutela del paesaggio, di fauna ed avifauna, la difesa del suolo, la rumorosità, gli incidenti e, non ultimo in ordine di importanza, gli effetti sulla salute.