Aquile disturbate
dal sito: www.scrignodipandora.it
Tutti, o quasi, siamo ormai abituati a prendere atto dei danni che la società moderna arreca all’ambiente naturale quando il cosiddetto modello di sviluppo entra in rotta di collisione con la natura tutta, tuttavia esiste un altro ambito meno noto di dannosità verso il mondo animale derivante da attività dell’uomo messe in atto in luoghi e tempi che cozzano con i normali cicli del mondo naturale.
A conferma di ciò, un recente studio, presentato a un convegno sugli uccelli rapaci nel Lazio tenutosi in ottobre nel comune di Colleferro (RM), ha dimostrato quanto determinate attività dell’uomo, svolte in luoghi e tempi sbagliati, possano interferire negativamente con la vita di un grande predatore alato come l’Aquila reale.
Questo magnifico rapace, fonte di grande emozione per chi ha la fortuna di osservarlo, in realtà è molto sensibile al disturbo umano soprattutto nelle vicinanze del suo sito riproduttivo che nel nostro paese consiste in uno o più nidi alternativi ubicati in pareti rocciose di zone montane che presentino un buon livello di wilderness.
Ora fino a qualche decina di anni fa gli ambienti montani erano affrancati dall’invadenza umana. Tant’è che la società si divideva in coloro che amavano il mare con tutte le sue attrattive rumorose e festaiole e quelli che invece preferivano la montagna dove il silenzio e la tranquillità erano sovrani.
Questi sono solo ricordi di un mondo profondamente cambiato.
Oggi la combinazione del mito della prestanza fisica, fatta di ore e ore in palestra spesso sottratte alla lettura e in generale alla cultura, con la disponibilità di attrezzature tecnologicamente avanzate quali fotocamere digitali, moto fuoristrada, deltaplani, parapendii, set completi per il trekking o l’arrampicata, produce spesso un disturbo antropico mal tollerato da molte specie animali come, nel nostro caso, l’aquila reale.
I sentieri montani un tempo servivano come via di transito per le tante attività lavorative dell’uomo chiamate agrosilvopastorali, scomparse quest’ultime gli stessi tracciati, siano essi vecchie mulattiere o stradini di terra battuta, costituiscono oggi i percorsi per molte attività del tempo libero. Spesso questi sentieri passano a poche centinaia di metri da nidi attivi dove le aquile depongono le uova a inizio primavera e così può accadere che una femmina in cova sia costretta a lasciare il nido col sopraggiungere di una comitiva chiassosa di escursionisti. Le uova lasciate troppo tempo alle basse temperature possono poi diventare sterili per la morte dell’embrione e non schiudere più.
Stessa conseguenza si può avere con un fotografo rampante che si avvicini troppo a un nido occupato per fare la foto ‘magnifica’ da condividere nei social, oppure col passaggio ravvicinato di un paio di motocrossisti impegnati a divertirsi la domenica mattina, una volta lasciato alle spalle le case del loro paese montano. E che dire delle decine di deltaplani e parapendii che nei fine settimana frequentano i selvaggi crinali montani dove le aquile cercano le loro prede.
Nelle aree protette (parchi e riserve naturali), laddove esistono regolamenti approvati, la problematica del disturbo antropico verso la fauna selvatica è governata da divieti e restrizioni in tempi e luoghi determinati, che però a nulla servono se vengono a mancare adeguati controlli.
Per il resto del territorio: far west!..
Il 30% delle coppie di aquile del campione esaminato nello studio presentato al convegno di cui sopra è oggetto di disturbo antropico ripetitivo nelle casistiche appena descritte come esempi. Questa situazione limita fortemente la loro riproduzione abbassando sensibilmente il numero di aquilotti involati annualmente rispetto alle coppie non disturbate.
Si dirà: che fare?
Più che reprimere, educare…educare…educare…educare…